Il Pelmo è una grande montagna, un’enorme, compatta fortezza di roccia a dominio di ombrose selve boscose. Chiunque si addentri nel Cadore o nella valle di Zoldo rimane presto colpito e sopraffatto dalla mole che superba troneggia solitaria e chi ancora percorra la Val Fiorentina rimane presto abbagliato dalla vertiginosa muraglia che il monte manda verso Nord facendola adagiare dopo 900 verticalissimi metri su di una cintura di mobili ghiaie. Finora risparmiato da cavi e attrezzature metalliche, poterlo salire regala ancora il piacere di rivivere in una certa misura la stagione di un alpinismo agli albori, almeno per quanto riguarda le Dolomiti Orientali.
La direttrice di salita “normale” è da Sud-est facilmente individuabile nel grande e ripido vallone detritico compreso tra i contrafforti che i “braccioli” del “Caregon” – cioè la Spalla Sud e la Spalla Est – mandano verso i boschi sottostanti. Ma come raggiungere quel vallone – “el Valòn” – risultava il problema maggiore della montagna; sembra che, verso la seconda metà del XIX secolo, i cacciatori e valligiani locali conoscessero almeno 4 vie di accesso al detto Valòn, dove era possibile sorprendere i camosci. Tre di queste vie sfruttavano sapientemente una delle caratteristiche principali del monte, quella di essere in gran parte percorso da lunghe cenge ad andamento pressoché orizzontale: una in particolare, quella seguita il 19 settembre 1857 dal primo salitore “touristico”, John Ball, è andata incontrando nel tempo grande fortuna fino ad affermarsi come l’indiscussa via normale di salita al monte. Le altre sono ricordate ancora oggi dai nomi dei primi percorritori con intenti alpinistici: la cengia di Grohmann e la cengia di Giacin e Cesaletti. La quarta via di accesso al Valòn sfrutta un sistema di canali e camini nei pressi di quel marcato zoccolo roccioso al piede meridionale del monte, denominato La Dambra, ed è sicuramente tra queste quella più impegnativa.Senza voler cadere nel personale, dopo aver salito una prima volta il monte per la sua via normale principale, sono stato attratto dalla grandiosità dell’ambiente a ripetere le orme del secondo salitore, l’austriaco sistematico fagocitatore di cime dolomitiche, Paul Grohmann, che, accompagnato dalle sue fide guide ampezzane, inaugurò la breve sta
Grohmann, in tempi ancora sinceri, non si autodedicò la salita: era infatti consapevole di percorrere tracce già conosciute da cacciatori locali e la indicò infatti come “via della Fissura”, per il fatto che per andare ad attaccare la cengia occorre percorrere quasi interamente il Canalone Meridionale della Fessura, la stretta spaccatura che divide il Pelmo dal Pelmetto.
La salita non presenta particolari difficoltà, ma è molto lunga e faticosa (per un totale di 1650 m di dislivello) e, soprattutto, attraversa un ambiente estremamente severo e solitario (almeno fino all’innesto sulla via normale); una volta raggiunto il Valòn la vetta del Pelmo è ancora lontana. Occorre calcolare almeno 6 ore di salita dal Passo Staulanza (ma anche dal Rifugio Venezia). Per quanto riguarda la discesa, se si affronta la “cengia di Ball”, occorrono cautela, passo fermo e sicuro; calcolare 2 ore e 30 fino al Rif. Venezia ed altre 2 ore al Passo Staulanza.
Descrizione dell’itinerario.
Dal Passo Staulanza (1766 m), valico automobilistico che mette in comunicazione la valle di Zoldo dal lembo di Cadore della Val Fiorentina, si attraversano i prati in direzione Est verso il bosco che circonda il piede del Pelmetto. Saliti una quarantina di metri si giunge ad un primo bivio (Crep dal Fen, 1809 m): si prende a destra, lasciando a sinistra il sentiero per il Rif. Città di Fiume. Comincia ora il lungo tratto in leggera salita che, tra le ultime conifere, porta ad aggirare tutto il versante occidentale del Pelmetto, fino a portarsi in una zona fittamente popolata dai baranci ormai a meridione del suddetto monte (Col de le Crepe Cavaliere, 1884 m). Con percorso tra i mughi quasi pianeggiante si raggiunge un piacevole torrentello che sembra aver origine dalla marcata fenditura tra Pelmo e Pelmetto. Ci troviamo al centro della località chiamata “Le Mandre so’ Pelf”, ad una quota di 1908 m: una volta guadato il ruscello notare subito sulla sinistra un invitante sentierino che si stacca dal sentiero principale; imboccatolo lo si segue con ameno percorso tra i mughi sulla riva sx orografica del ruscello. Quando i baranci si infittiscono si esce sul letto carsico ormai asciutto del ruescello de le Mandre e lo si risale per un buon tratto seguendo buone tracce. Man mano che ci si avvicina allo sbocco del canalone proveniente dalla Fessura ci si accorge che nella parte bassa esso è rotto da salti e chiaramente impraticabile; si segue allora un altro letto asciutto verso destra, cioè verso la base delle rocce del Pelmo, in salita più decisa e, facendo attenzione, risulterà che evidenti tracce si staccano sulla sinistra per andare ad attaccare direttamente un erto pendio di rocce frammiste a fitti mughi. Seguitele ci ritroveremo presto fuori dai baranci su di una ripida pala erbosa, superata la quale ci appare dinanzi il grandioso spettacolo del canalone meridionale della Fessura. Entrati ormai nel vallone, abbandonate le zolle, si prendono a traversare in leggera salita ghiaie abbastanza assestate su buona traccia puntando direttamente alle rocce dalla parte del Pelmo (destra salendo; sinistra orografica). Quando il ghiaione si fa più instabile, occorre puntare dritti verso le rocce e, una volta raggiuntele, traversare alla loro base verso sinistra, cioè verso il centro del vallone. Prima però di riagguantare la lingua ghiaiosa, altrimenti molto faticosa, alcuni sbiaditi bolli rossi invitano a salire sulla destra per una fascia di facili roccette, anche molto divertenti, che ci depositano più in alto nuovamente sulle ghiaie. L’ambiente si fa sempre più severo, conviene tenersi sempre dalla parte delle rocce del Pelmo e, sempre da questa parte, occorre superare la ben visibile strozzatura del canale ad una quota di circa 2500 m, ancora su facili roccette. Di nuovo un tratto molto faticoso sul ghiaione quando, a circa un centinaio di metri dalla Fessura, si nota sulla destra l’insospettabile e scenografico aprirsi di una larga banca ghiaiosa (grosso ometto di pietra): siamo dunque giunti all’attacco della cengia di Groh
Con bellissimo, aereo e lungo percorso si contornano tutti i fianchi meridionali del Pelmo, prima in salita poi in leggera discesa. Sebbene la cautela debba sempre governare in un ambiente come questo, un solo punto costringe alla massima attenzione, il doppiaggio dello spigolo sud: qui la cengia si restringe tantissimo, si scendono un paio di metri e si riprende una nuova cornice leggermente più larga. Superato il punto si prosegue tranquillamente in direzione nord-est fino a raggiungere in pochi minuti il tanto sospirato Valòn, dove ci si ricongiunge alla già più affollata via normale, ad una quota compresa tra i 2650 e i 2700 m. Seguendo le varie tracce verso sinistra per ripide ghiaie si raggiungono le prime banche rocciose trasversali che segnano il passaggio tra il Valòn e il circo superiore o Vant; i numerosi ometti possono distrarre più che aiutare veramente: il modo migliore per passare è attaccare tali gradonate all’estrema destra, fin sotto la parete Ovest della Spalla Est del monte, e poi traversare gradualmente verso il centro. Raggiunto il Vant (2800 m c.) ci troviamo di fronte ad un altro grandioso spettacolo: un enorme catino ingombro di massi (e, un tempo, di nevi perenni) sopra il quale incombe la cima del monte. Districandosi tra la selva di ometti, anche troppi, si prende a traversare il Vant verso sinistra, prima in moderata salita poi superando alcuni salti più ripidi fino a raggiungere il ripiano del ciglione occidentale nel punto in cui comincia ad alzarsi la cresta sud-ovest terminale (ci troviamo a q. 3000 m). La cresta non la si attingerà che prossimi alla vetta, in questo primo tratto si piega subito a destra tenendosi sul versante del Vant. Raggiunto il filo con alcune svolte tra facili roccette, si superano un paio di brevi saltini esposti (notare l’incredibile strapiombo della parete Nord) e con breve tratto pianeggiante finale si raggiunge la vetta ornata di una modesta croce (3168 m). Il panorama è davvero grandioso e abbraccia tutte le Dolomiti, cominciando dalle più vicine: Antelao, Marmarole, Sorapìss, Cristallo, Croda Rossa d’Ampezzo, Tofane, Sella, Marmolada e, vicinissima, Civetta, per poi spaziare sulla selva di guglie delle non meno belle e, anzi, più ardite e selvagge dolomiti bellunesi o meridionali. La discesa segue le tracce un po’confusionarie della via normale (almeno fino al Vant), si entra nel Valòn e qui, anziché riprendere la cengia di Grohmann, lo si riscende interamente e ripidamente per la marcata traccia. Raggiunto infine un pianoro roccioso, si intuisce il profondo salto che ci separa dai sottostanti e verdi Ciampi di Rutorto e si segue verso sinistra la traccia che si trasforma presto in una stretta cengia rocciosa.
Ci troviamo sulla celebre Cengia di Ball: il primo tratto (scendendo) è praticamente pianeggiante ed occorre superare tre marcate rientranze; le difficoltà si incontrano nella seconda e nella terza: dapprima il punto più delicato, il famoso Passo del Gatto che occorre superare all’esterno in discreta esposizione sfruttando un bell’appoggio, poi l’altro, dove un masso sporgente costringe ad una lieve spaccata. Una volta terminate le rientranze la cengia comincia a scendere più marcatamente e il suo percorso, sebbene lungo, si fa meno tortuoso ed esposto. La cengia termina sopra una breve paretina di gradoni montonati: con un po’ di attenzione si passa dappertutto. Raggiunto l’attacco della via normale al Pelmo (q. 2101 m) ci buttiamo su ghiaione e quasi di corsa raggingiami in pochi minuti l’affollatissimo Rifugio Venezia-Alba Maria De Luca ai Ciampe de Rutorto, 1946 m. Dal rifugio per tornare verso Passo Staulanza si contorna tutto il versante meridionale del Pelmo, con numerose risalite. Tornati a Le Mandre si ripercorre a ritroso l’itinerario fin lì percorso.
Salita effettuata domenica 16 settembre 2007.